Formigine – Italia, 2023. Per il saggio di canto, un gruppo di allieve, della scuola di musica che frequento, prepara un pezzo dal titolo “Bread and Roses” nella versione di Mimì Fariña, eseguita da “Women of the world”. Non conosco questa canzone. All’inizio la imparo dalla mia maestra, senza guardare il testo. Subito mi cattura, mi sembra un inno struggente che proviene da lontano, sento una folla di voci che unite cantano marciando, le voci raggiungono me e così mi unisco con naturalezza a questo coro. Scopro il titolo “Bread and Roses”, due parole semplici inseparabili (come le nostre Touki Bouki) che spiegano l’essenza della vita, la base della dignità umana, il diritto a guadagnarsi il sostentamento per sé e per la famiglia insieme al diritto “di vivere e non semplicemente di esistere”.
“Anche i cuori muoiono di fame, non solo i corpi”
California, 1974. Mimì Fariña, cantautrice folk ed attivista per i diritti umani, già conosce l’esperienza dell’incarcerazione per aver partecipato a dei sit-in pacifisti; inoltre si è esibita con la sorella Joan Baez in un famoso concerto a Sing Sing, carcere di massima sicurezza. Nel 1974 crea un’organizzazione no profit che ancora oggi si occupa di organizzare concerti gratuiti e portare musica live all’interno di istituti e strutture istituzionalizzate come ricoveri per senzatetto, istituti di pena, scuole speciali per bambini con disabilità mentali, centri per anziani. La chiama “Bread and Roses Presents”, ispirandosi allo sciopero di Lawrence del 1912. Nello stesso anno mette in musica e riporta al successo la canzone “Bread and Roses”, la cui origine è legata ad eventi lontani nel tempo, che purtroppo si ripetono ancora.
Slogan, Poesia e Musica
“Voi non avete niente che anche l’operaia più umile non abbia il diritto di avere”
Di pane e rose, parla Rose Schneiderman, leader americana dell’Unione delle Donne (WTUL), in un discorso pronunciato a Cleveland (Ohio) a favore del diritto di voto. Rivolgendosi alle donne ricche e privilegiate, che la ascoltano in platea, le invita a sostenere le operaie nell’ottenere la scheda elettorale, strumento con cui lottare per il pane e per le rose, per il diritto a vivere dignitosamente.
Queste parole ispirano a James Oppenheim il famoso poema pubblicato nel dicembre del 1911, un mese prima dello sciopero di Lawrence. Il poema viene messo in musica. La prima versione conosciuta viene eseguita nel 1917, ne è autrice Caroline Kohlsaat, direttrice del coro del Women’s Club di River Forest (sobborgo multietnico di Chicago). Negli anni ’30 del 1900, la canzone viene cantata durante le proteste operaie, insegnata ed eseguita nei college liberali e nelle scuole estive organizzate per i figli degli operai. Dopo la Seconda guerra mondiale, negli anni ’50, la canzone torna a circolare nei circuiti della musica folk e ha nuovamente successo negli anni ’70, diventando da allora l’inno del movimento operaio e delle donne in tutto il mondo, per questo tradotta e cantata in diverse lingue.
Lo sciopero del pane e delle rose
“Give us bread but give us roses”
Lawrence – USA, 1912. Nelle industrie tessili meccanizzate e all’avanguardia vengono impiegati un gran numero di lavoratori immigrati non qualificati, per la maggior parte donne e bambini, anche sotto i 14 anni. Il lavoro è ripetitivo e pericoloso. L’aumento della produzione permette di licenziare molti lavoratori. Chi mantiene il posto guadagna meno di 9 dollari a settimana per 56 ore di lavoro. Si è costretti a vivere in edifici affollati e pericolanti dove ci si ammala di rachitismo e tubercolosi, il 50% dei bambini muore prima dei 6 anni e un terzo degli operai non arriva ai 25.
La nuova legge del 1° gennaio 1912 riduce il numero massimo di ore da 56 a 54 e la paga di 6 dollari (che corrispondono a diverse forme di pane). L’11 gennaio, i lavoratori, soprattutto donne, fermano i telai e si riversano in strada per protestare; allo sciopero si uniscono altri operai e operaie fino ad arrivare a 25.000 persone nel giro di una settimana.
L’associazione sindacale Industrial Workers of the World sostiene la decisione dei lavoratori e dei suoi principali esponenti Joseph Ettor e Arturo Giovannitti, aiuta a organizzare la protesta e a definire precise richieste al governo. Contribuisce a formare un comitato composto da due rappresentanti per ogni gruppo etnico all’interno delle fabbriche. Ogni incontro sindacale è tradotto in 25 lingue diverse per superare le barriere linguistiche e far sì che tutti gli operai possano partecipare attivamente alla protesta.
Lo sciopero si trasforma in una lotta più ampia per ottenere migliori condizioni di vita. Gli scioperanti cantano, organizzano spettacoli, balli, dibattiti e sfilate. Durante queste manifestazioni le lavoratrici portano cartelli e gridano “Vogliamo il pane, ma anche le rose”. Gli scioperanti inventano il picchetto in movimento per non essere arrestati con l’accusa di vagabondaggio. Formano una catena umana che tutti i giorni, 24 ore su 24, gira intorno alle fabbriche in modo che la polizia non riesca ad entrarvi e quando, in particolare le donne vengono arrestate, rifiutano di pagare le multe e al rilascio tornano alla linea di picchetto.
Il 29 gennaio durante un intervento della polizia, parte uno sparo che uccide Anna LoPizzo, attivista italiana immigrata. La protesta si protrae per mesi e grazie a Elizabeth Gurley Flynn, altra attivista del’IWW, vengono allestite mense provvisorie e presi accordi perché i bambini dei lavoratori scioperanti siano ospitati e accolti in altre città per la durata della protesta.
Generosa la solidarietà a livello nazionale e internazionale, anche con l’invio di donazioni. Feroce la reazione della polizia che attacca donne e bambini alla stazione ferroviaria, bastonandoli e trascinandoli in camion militari. Nonostante tutto lo sciopero va avanti fino al 14 marzo, quando i lavoratori ottengono l’aumento di paga richiesto, l’aumento per le ore di straordinario e la riassunzione per gli scioperanti.
Pane e rose
di James Oppenheim
(pubblicata su “The American Magazine” nel dicembre 1911)
Mentre avanziamo marciando, marciando nello splendore del giorno
Un milione di cucine affumicate, un migliaio di grigi solai dove si lavora
sono colpiti dalla luce che un sole improvviso rivela
perché la gente ci sente cantare: Pane e rose! Pane e rose!
Mentre avanziamo marciando, marciando lottiamo anche per gli uomini
perché sono figli delle donne; grazie a noi nascono di nuovo.
Nella nuova vita ci sarà dolcezza dalla nascita fino alla fine;
le anime come i corpi possono morire di fame; dateci pane, ma dateci anche le rose!
Mentre avanziamo marciando, marciando, innumerevoli donne morte
gridano nel nostro canto la loro antica richiesta di pane
I loro spiriti sfiniti dal lavoro conobbero ben poco l’arte, l’amore la bellezza;
sì, è per il pane che lottiamo… ma anche per le rose!
Mentre avanziamo marciando, portiamo giorni migliori
la rivolta delle donne è la rivolta della razza.
Non più schiave e oziose, non più dieci che faticano ed uno che riposa,
ma la divisione delle grazie della vita: Pane e rose! Pane e rose!
Eccezionale per un parallelo della situazione attuale. Naturalmente, oltre al “pane e le rose” la situazione attuale del vivere delle donne necessita
di vederle “sensibili ed amorevoli” come sono e ricordate per il triste passato attraversato nel secolo scorso. Ma il vostro meraviglioso coro chiaramente lo evoca in maniera poetica.