Alessandro Portelli è conosciuto soprattutto per i suoi studi sulla letteratura angloamericana e per la storia orale di cui è considerato fondatore e massimo esponente italiano. Ma è attraverso la musica popolare – che ha studiato, scritto e archiviato – e la musica di protesta americana – che ha recensito e contribuito a diffondere in Italia – che ha avviato la sua attività di ricerca, collaborando con gruppi e collettivi come il Nuovo Canzoniere Italiano, l’Istituto Ernesto de Martino, I dischi del sole, delle Edizioni Avanti!, il Circolo Gianni Bosio (di cui è tutt’ora presidente). Quando nell’ottobre del 2020 l’abbiamo invitato a Nonantola per intervenire alle Strade del mondo (una formazione residenziale per operatori dell’accoglienza) ed è venuto a sapere della piccola esperienza del Coro sociale multietnico “Al frisoun”, durata per circa tre anni, dal 2013 al 2015, si è subito incuriosito. Un’esperienza che rimpiangiamo e che prima o poi speriamo di replicare: grazie all’aiuto del maestro ed etnomusicologo Fabio Bonvicini, che a Nonantola dirige anche il coro popolare “Al Tursein”, abbiamo registrato, trascritto, traslitterato e imparato a cantare una trentina di canti raccolti dagli studenti stranieri della scuola di italiano “Frisoun”. Tre tracce audio di quel repertorio sono finite nel cd musicale Ius soli. Voci e canti per l’Italia futura uscito pochi mesi fa per le edizioni friulane “Nota”, nella collana “Crossroads” curata da Portelli. (Touki Bouki)
Quando più di dodici anni fa abbiamo inaugurato il progetto “Roma Forestiera” sulle musiche “migranti” come nuova musica popolare italiana, e poi la serie discografica “Crossroads” che ne pubblica i risultati, ci siamo resi conto che stavamo seguendo, dall’angolo particolare della musica, uno dei grandi processi di trasformazione del nostro paese e della sua cultura: l’Italia non può più rappresentarsi come un paese con un colore solo, una lingua sola, una storia sola. Non è mai stato veramente così, ma adesso è impossibile non prenderne atto.
Metto fra virgolette la parola “migranti” per molte ragioni. La prima è che, come mi faceva notare un’amica venuta a Centocelle dalla Romania, “migranti” è un participio presente: persone che stanno migrando. E invece lei, e tanti altri, è una persona che è “migrata” una volta ma adesso è qui per restare: il participio presente suggerisce una presenza temporanea (ci trattano solo come “ospiti”, non accetterai no mai che questa è casa nostra, cantava un poeta somalo che vive a Roma); il participio passato ci impone di riconoscere che si tratta di presenze definitive. E la seconda ragione è che centinaia di migliaia di persone che ancora includiamo nella categoria “migrante” non sono migrate mai: sono nate qui e qui pensano di trascorrere la loro vita.
Lo spazio sociale di questi nativi d’Italia che l’Italia non vuole è la scuola, soprattutto la scuola pubblica, pilastro della democrazia. A scuola, bambini e bambine, ragazze e ragazzi, stanno insieme, quale che sia il colore e quale che sia il paese dei loro genitori (e spesso, ormai, dei loro nonni). Ma stanno insieme in tanti altri spazi – sul campo di calcio, ai concerti, o semplicemente in strada e in piazza. E stanno insieme – ragazzi delle scuole ma anche adulti – anche per cantare: l’esperienza dei cori “multietnici” (altra parola problematica, in mancanza di una migliore) – è partita a Roma proprio dalle scuole, ma non si ferma lì. Quando abbiamo incontrato l’esperienza del coro “Al frisoun” a Nonantola, e altre analoghe a Venezia, a Reggio, a Pordenone – ci siamo resi conto che l’idea di cantare insieme, di imparare canzoni e parole gli uni dagli altri, ha preso piede spontaneamente in molte parti d’Italia. Anche di questo parla il nostro CD: della musica come matrice di socialità, di resistenza alla solitudine e all’alienazione, e implicita ma ineludibile rivendicazione di diritti.
Clicca sulla copertina di Ius soli. Voci e canti per l’Italia futura per ascoltare le anteprime del cd. Le tracce 19, 20 e 31 sono state registrate a Nonantola durante le prove del coro “Al frisoun” nel 2014. Imbarazzo, voce tremante, senso di spaesamento: da lì si partiva per costruire un terreno musicale comune.