Nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, (Leopardi, Operette Morali, 1824) lo scienziato specializzato nell’imbalsamazione, “viene svegliato nel cuore della notte dal canto dei defunti risorti poiché si sta compiendo “l’anno grande e matematico”, ossia quel momento in cui i pianeti si ritrovano nella stessa posizione in cui ebbe principio il loro moto. Allo scoccare della mezzanotte i morti di ogni dove hanno facoltà di parlare con i vivi per un quarto d’ora”. Vi lascio la curiosità di leggere questo dialogo per sapere di cosa parlano i morti con lo scienziato.
Alla mezzanotte in punto del 17 gennaio della festa di S. Antonio, le bestie della stalla parlano per dieci minuti. Che cosa si dicono? Li ho ascoltati nascosto nel fienile: “Finalmente! Da tanto tempo ho voglia di dire qualcosa agli uomini, per secoli io e il somaro abbiamo servito l’uomo nel lavoro in campagna nel tirare carri e carrozze e purtroppo nella guerra. L’uomo ci ricambiava con legnate e staffilate fino alla macellazione. Oggi se voglio sopravvivere e non finire in bistecche devo imparare a correre nelle piste”. Il somarello continua: “E che posso dire io? In verità mi è stata riconosciuta la qualità non solo come portatore di soma; da somaro sono diventato l’asinello che fa divertire i bambini ed ama i disabili nelle fattorie didattiche, ma anch’io diventerò mortadella e salamino”. “Io, dice il maialino dal su angolo, mi trovo in una porcilaia con altri cento miei fratellini, siamo stati strappati dalla mamma e ingrassati per fare prosciutti, coppe, pancette e braciole. Io non invecchio mai, muoio a un anno e mezzo, dopo aver vissuto in un serraglio senza aria ammassato e ingrassato, senza la gioia di avere una maialina per amica”. La mucca ascoltava in silenzio: “Io ero la regina della stalla, davo il latte per il contadino; tiravo l’aratro e scaldavo la stalla. Il contadino mi amava e mi chiamava per nome ed ero contenta di vivere con le altre bestie e gli umani. Il mio vitellino lo allattavo lo leccavo e lo vedevo crescere; oggi me lo strappano dalla poppa appena sta in piedi. Ma nessuno sa del mio dolore e ascolta il mio lamento. Oggi anch’io vivo in stalloni per fare latte ma specialmente per finire come carne da macello. Ma dimmi un po’ che bisogno avete voi umani di tenere in vita tanti animali solo per ammazzarli? Vi è mai venuto in mente la nostra sofferenza? O di ringraziarci? Fortunati il cane e il gatto, animali di compagnia… Anche il nostro santo, Antonio, non ha fatto molto per noi. Siamo benedetti solo per avere una carne buona”. Io stavo rispondendo: “Sì molti di noi ci stanno pensando e si sentono in colpa. Ma ditemi un poco, ma voi cosa pensate di fare? Vi potete ribellare? Potete fuggire?…”. Nessuno rispose. I dieci minuti concessi erano passati.
Quando gli animali parlano
La notte di sant'Antonio