L’itinerario è quasi sempre lo stesso: le persone arrivano a Oulx, in alta Val Susa, prendono una navetta per Claviere, l’ultimo comune italiano prima della frontiera, e da lì, lungo piste da sci, boschi, percorsi Cai o sentieri non tracciati, dopo circa 15 chilometri raggiungono Briançon, il primo comune francese oltre confine. Sempre che non vengano intercettati e respinti dalle forze dell’ordine francesi: agenti della polizia di frontiera, della gendarmerie nationale o soldati dell’esercito. In questo caso le persone ritentano anche due, tre o più volte fino a quando il tentativo non riesce. In mezzo, tutti i rischi e le variabili che chi frequenta i sentieri di alta quota conosce bene.
Per i turisti la frontiera non esiste. D’inverno, mentre sciano, senza rendersene conto passano continuamente, lungo le piste del Monginevro da un paese all’altro. In estate i golfisti si divertono su un campo internazionale da golf con 18 buche che passano da una parte all’altra della frontiera (buca numero 7 all’andata e buca numero 16 al ritorno).
La scorsa estate, alcuni redattori di Touki Bouki hanno incontrato una realtà molto interessante che opera a Oulx, nella zona che, da quando hanno sigillato la frontiera a Ventimiglia, è diventata una delle principali porte d’accesso per i migranti provenienti dalla rotta balcanica. A dire il vero, via di transito quei passi alpini lo sono da sempre: la via francigena passava da lì, da lì sono passati Annibale (ma dove non è passato Annibale?) e Carlo Magno per le loro scorribande militari, da lì passavano gli italiani, nel primo e nel secondo dopoguerra, per andare a cercare fortuna in Francia e, in anni più recenti, profughi jugoslavi in fuga dalla dittatura di Tito. E da lì, in ragione del fatto che il colle della Scala e quello del Monginevro sono tra i passi alpini più accessibili, dal 2016 transitano ogni anno centinaia di afghani, siriani, iraniani, curdi, iracheni ma anche nordafricani e africani dei paesi subsahariani.
La realtà di cui parliamo si chiama “Rifugio Fraternità Massi” e offre un’accoglienza a bassissima soglia (non si chiedono generalità nè tantomeno documenti) a chi si appresta a tentare il passaggio di quella frontiera: una settantina di posti letto per riposarsi alcune notti, scarpe e indumenti adeguati, consulenze mediche e legali, consigli per il viaggio e contatti da un lato all’altro del confine. Il Rifugio è gestito da una fondazione cattolica (“Talità Kum”) e da alcune onlus strutturate e “istituzionali” (“Rainbow for Africa”, “Medici per i diritti umani” e “Diaconia Valdese”). Ma anche – e questo è uno degli aspetti più interessanti – da moltissimi volontari provenienti da realtà politiche e religiose delle più diverse: gruppi scout, attivisti del movimento No Tav e collettivi anarchici che in questi anni, nei loro esperimenti di occupazione e autogestione, hanno coinvolto e accolto decine di migranti prima che tentassero il passaggio della frontiera.
Se qualcuno volesse andare a Oulx dare una mano, a fare un’esperienza di volontariato o a organizzare una route scout può scrivere una mail a pontinonmurivalsusa@piemonte.agesci.it o un messaggio whatsapp a Silvia (3348471789) o a Franca (la responsabile dei turni dei volontari: 335 129 1683). In inverno i gruppi scout devono organizzarsi cercando alloggio nelle case alpine della zona, all’“Alveare” di Oulx o nelle strutture di media-bassa valle perché il Rifugio Massi non è in grado di offrire da dormire ai gruppi di volontari. Diverso è per l’estate, periodo in cui il Rifugio è in grado di mettere a disposizione spazi e risorse per organizzare campi e piantare tende.