Il signor A. è un arzillo “ragazzo” di 85 anni, vive sulle prime colline modenesi e da sempre coltiva un piccolo pezzo di terra che gli dà del magnifico Grasparossa.
Il legame fra lui e il lambrusco è così coinvolgente che non solo lo coltiva, lo raccoglie, lo spreme nei suoi vecchi torchi, lo lascia riposare quel tanto che basta perché diventi una bevanda frizzante di un bel colore rubino, ma con altrettanta passione e amore se ne beve tutti i giorni una buona bottiglia a pasto e a cena.
Il signor A. ha un nipote, il dottor G., che è un bravo e scrupoloso medico di famiglia.
Il dottor G. cura da anni il suo vecchio zio con amore e dedizione.
Un bel giorno il signor A. decide di andare a trovare suo nipote allo studio; non che abbia particolari disturbi: è ancora in buona salute, riesce a coltivare il suo piccolo fondo, fa delle lunghe partite a carte con i pochi amici rimasti vivi, riesce ancora andare in bicicletta e a guidare l’auto, ma pensa che ogni tanto farsi controllare da un nipote così premuroso non gli faccia male.
Arrivato nello studio del dottor G. viene visitato ed esaminato con scrupolo dal giovane medico, che gli prova la pressione, gli ausculta i polmoni, gli esamina, palpandolo, tutto l’addome… e infine invita lo zio a sedersi: senza giri di parole e con una espressione severa sul volto gli dice che il suo fegato è troppo grosso e che se non smette di bere morirà in pochi mesi. Lo zio rimane senza parole e molto spaventato dalla sentenza del giovane nipote.
Con un grande sforzo di volontà, quella sera stessa smette di bere e non tocca neanche una goccia di lambrusco. Purtroppo però, pochi giorni dopo, la moglie, che tutte le mattine gli porta il caffè a letto, lo trova stecchito e già freddo.
“Morte cardiaca improvvisa” sentenzia il medico legale.
Il giorno dopo si svolge il funerale: la chiesa del piccolo paese è gremita perché il signor A. è conosciutissimo. Nei primi banchi ci sono i parenti stretti, e c’è anche, costernatissimo, il dottor G.
Subito dietro c’è il banco riservato ai pochi amici superstiti: anche loro sono increduli e si fanno mille domande su cosa possa essere successo.
– Oh, l’è propria mort!
– Sé, l’è propria acsé
– Mo l’eter dè a l’ho vest ch’ al pudeva le végna e al steva benissim! (1)
Il suo amico più stretto, con lui fin dall’infanzia, si volta di scatto e sentenzia lapidario:
– A v’al dègh me cus’ a ghé capité: i l’an deslatee trop prest! (2)
Il dottor G., che ha orecchiato questa conversazione, soffoca a fatica un moto convulso di riso misto a un poco di rimorso per avere ingiunto al suo povero zio di smettere di bere in maniera così perentoria.
NOTE
(1) Traduzione per i non nonantolani: Oh, è proprio morto! / Sì, è proprio così / Ma l’altro giorno l’ho visto che potava le vigne e stava benissimo
(2) Vi dico io cosa gli è capitato: l’hanno svezzato(3) troppo presto!
(3) Svezzare: quando nei bambini piccoli o nei cuccioli di mammifero l’alimentazione a base di latte viene sostituita con altri alimenti.