Nel 2024, la casa editrice Else edizioni, che realizza libri d’arte e albi illustrati stampati a mano con la tecnica della serigrafia, ha ripubblicato a quasi settant’anni dalla prima edizione un piccolo gioiello dal titolo I bambini e i poeti. In un formato piccolissimo di 13,5 X 10 cm., tanto piccolo da stare nella mano di un bimbo, il libro riproduce trenta poesie di alcuni dei più importanti poeti del ‘900 – Montale, Quasimodo, Saba, Sinisgalli, Ungaretti – illustrate dalle linoleografie dei bambini di quarta e quinta elementare di una scuoletta persa tra le montagne veronesi. L’antologia si presenta così: nella pagina di sinistra una poesia e in quella di destra la stampa di uno dei bambini che illustra la poesia. Da un lato i poeti, dall’altro i bambini, in dialogo tra loro.
Ma il libro è un gioiello soprattutto per la storia che racchiude: quella di un maestro elementare, Gianni Faé, che, all’inizio degli anni ’50, in un contesto di povertà estrema, per alcuni anni fece scuola con grandissima creatività ai figli dei contadini e degli allevatori di un piccolo comune del veronese delle Prealpi venete. Una storia che si inserisce, anche senza influenze e scambi diretti, in una stagione di sperimentazioni pedagogiche e di lotte sociali estremamente ricca: don Lorenzo Milani, che sull’Appennino fiorentino insegnava in un contesto molto simile a quello del maestro Faè; Danilo Dolci e i suoi interventi di sviluppo di comunità a Palermo; il Centro educativo italo svizzero di Margherita Zoebeli a Rimini, Scuola-città, rivista e scuola ideati a Firenze da Ernesto Codignola; Nomadelfia di don Zeno Saltini, il Movimento di collaborazione civica (Mcc) e quello di cooperazione educativa (Mce), le colonie anarchiche di Giovanna Caleffi Berneri, e l’elenco potrebbe continuare ancora. Un elenco che non mira a rievocare una mitica età dell’oro della pedagogia, ma piuttosto a fornire idee e spinte creative – questo sembra essere l’intento dell’iniziativa editoriale di Else edizioni – per inventarsi qualcosa di radicalmente nuovo nella crisi ormai irreversibile delle nostre istituzioni educative. Di questo abbiamo parlato con Marco Carsetti, fondatore e animatore, insieme a Chiara Mammarella, di Else edizioni, un’impresa artigiana e pedagogica che presenta molti tratti di somiglianza con il lavoro del maestro Faè. (TB)


Per capire bene la storia di questo libro è necessario prima di tutto contestualizzare. Siamo negli anni ‘50, poco dopo la fine della guerra, a Sant’Andrea, una frazione di Badia di Calavena, in provincia di Verona, in un contesto di allevatori, contadini e boscaioli, un paesaggio umano e sociale di estrema bellezza e povertà.
La frazione di Sant’Andrea si riduceva a una chiesetta, una scuola e poche case sperdute nei boschi. Gli abitanti di quelle zone venivano soprannominati “quelli che portano il coltello in tasca”. I bambini non facevano eccezione, giravano sempre con il loro taglierino e a scuola, un po’per abitudine un po’ per noia, incidevano il loro nome sui banchi o illustravano con l’intaglio le nozioni trasmesse dal sussidiario. Quando il maestro Gianni Faè prende servizio a Sant’Andrea, nota questa attività parallela e nei gesti dei bambini rivede una pratica che probabilmente faceva anche lui alla loro età. Appassionato di grafica, di illustrazione, di incisione, ha immediatamente questa intuizione: immagina che quei coltellini si possano trasformare in sgorbie per l’incisione su tavolette di linoleum.
La continuità tra la vita e la scuola: era questo uno degli assunti di fondo della pedagogia attiva e delle cosiddette “scuole nuove” che proprio in quegli anni stavano prendendo forma e diffusione. E così Faè inizia a “insegnare disegnando, facendo disegnare e poi stampando”. Questa diventa la sua impronta, il suo principale canale di comunicazione e di insegnamento con quei bambini.
Ma un libro così raffinato come I bambini e i poeti, pubblicato per la prima volta da un editore altrettanto raffinato come Vanni Scheiwiller nel 1956, non viene fuori dal nulla. Già da alcuni anni l’attività principale di Faè e dei suoi alunni era la redazione di un bellissimo giornalino scolastico che si chiamava “Piccole Dolomiti”, corredato dalle linoleografie dei bambini riguardanti per lo più scene della loro vita quotidiana o illustrazioni ispirate alle poesie e ai racconti che leggeva loro il maestro.
“Piccole Dolomiti” era un capolavoro fatto con niente. Nel raccontare la vita di paese, le nascite, gli incidenti, le vendemmie, le gelate, i trasferimenti dei preti, le rubriche curate dai bambini raccontano al tempo stesso un’epoca. Sfogliandolo, ci si rende conto come studiavano e in che condizioni vivevano i bambini di quelle valli. In uno dei numeri che ho avuto tra le mani, i bambini raccontano che il comune non gli ha aggiustato ancora la stufa a legna e per questo fa fumo dentro la classe, che ci sono 5 gradi e l’inchiostro si ghiaccia nel calamaio, che non riescono a stampare perché i fogli non si asciugano: c’è la nebbia e la nebbia entra anche dentro la scuola…
Anche il nome che Faè volle dare alla scuola è emblematico: in un posto così periferico, lontano da dio e dagli uomini, il maestro decide di chiamare la scuola “Piccola Europa”, probabilmente sotto la spinta delle speranze che il sogno di un’Europa unita rappresentava per molti giovani nati durante la guerra. Una scelta strana per quelle latitudini, dal sapore cosmopolita.
Quando siamo andati a presentare il libro a Sant’Andrea, abbiamo incontrato alcuni dei “bambini” del maestro Faè e una di loro, una donna simpaticissima e molto viva, ci ha raccontato che all’inizio non avevano neanche la carta per stampare e i primi giornalini venivano realizzati su corteccia di betulla! Questa signora si ricordava come il nonno le aveva insegnato a scortecciare le betulle per tirare fuori un foglio che poi veniva inumidito, pressato e infine, dopo un lungo procedimento, stampato dai bambini attraverso la tecnica dell’incisione su lineoleum.
Fino a quando entra in scena Leonardo Sinisgalli, “Piccole Dolomiti” si faceva con nulla. È il poeta potentino che cambia le sorti di tutto questo lavoro perché regala alla scuola le attrezzature per impiantare una piccola stamperia: una tipografia a caratteri mobili, molta carta, un torchio e insieme a tutto questo una notevole visibilità.
E come avviene che i bambini incontrino una figura così bizzarra, illuminata e allora molto conosciuta come Leonardo Sinisgalli?


Arte e tecnica
Caratteristica del lavoro di Faè, che in un certo senso lo distingueva da Célestin Freinet e dal nascente Movimento di cooperazione educativa era una profonda attenzione all’aspetto artistico e tecnico del lavoro con i bambini.
Ideare, pensare e stampare con loro un giornale scolastico trasformando l’aula in un laboratorio, non aveva solo la funzione pedagogica di insegnare ai bambini a leggere, scrivere e far di conto. Lui aveva principalmente un’ispirazione di tipo artistico e artigianale, legata da un lato alla poesia e alla cultura umanistica, e dall’altro a una grande fiducia nel progresso attraverso l’industrializzazione e le macchine. Una cosa a cui ad esempio teneva molto era portare i bambini, figli di contadini, allevatori e boscaioli, nelle grandi fabbriche dell’epoca. Lui era convinto che da lì sarebbe potuta venire l’emancipazione delle classi popolari.
Con queste premesse si capisce come poté scattare la scintilla tra la scuola di Faè e il “poeta ingegnere” Leonardo Sinisgalli, che all’epoca dirigeva una rivista, “Civiltà delle macchine”, pensata proprio per coniugare tradizione umanistica e pensiero scientifico, in uno spirito molto simile a quello che negli stessi anni informava le imprese di Adriano Olivetti. La rivista si avvaleva degli apporti di alcuni dei maggiori intellettuali del tempo, da Gadda a Moravia a Ungaretti, per citarne solo alcuni.
Quando i bambini di Sant’Andrea spediscono il secondo numero di “Piccole Dolomiti” a Leonardo Sinisgalli, lui si entusiasma immediatamente e sulla sua rivista dedica un ricco reportage alla scuola di S. Andrea corredato di alcune linoleografie dei bambini.
I bambini e i poeti, nell’edizione di Sheiwiller, nasce come ultimo atto di una serie di pubblicazioni “artistiche e di pregio” sollecitate dallo stesso Sinisgalli. Quando il poeta regala la piccola stamperia, il maestro e i ragazzi per ringraziarlo gli dedicano una plaquette, in sole due copie, in cui illustrano quattro sue poesie. Sinisgalli rilancia: perché non illustrare altri poeti ermetici contemporanei? La sfida viene accolta e nell’autunno del ‘55 realizzano quasi tutte le incisioni che confluiranno nell’edizione di Scheiwiller con una prefazione di Cesare Zavattini.
Da lì a pochi anni la storia, l’economia e la crisi ambientale avrebbero smentito clamorosamente il ruolo che Faè e Sinisgalli attribuivano alle macchine, alla tecnologia e alla loro funzione emancipatrice, ma quello che ancora oggi colpisce in questa vicenda era da un lato la capacità di questi “maestri” di immaginarsi futuri possibili da proporre ai bambini e dall’altro la prontezza di risposta di una società, intellettuale, economica, politica che rispondeva a questa visione offrendo strumenti, aprendo porte, fornendo casse di risonanza a questi bambini.
Aprendo le pagine della rubrica “Corrispondenze” del loro giornalino è possibile leggere: “Caro Ungaretti, ti mandiamo questo numero del nostro giornalino. Saremmo molto felici di sapere che cosa ne pensi.” E poi: “Caro Ungaretti, grazie della risposta, ci ha fatto molto piacere. Ti volevamo informare che abbiamo cominciato un nuovo numero dedicato…” eccetera eccetera. Cioè si intuisce come a dare corpo a questi scambi, queste possibilità di dialogo reale, fosse proprio una concezione diversa del bambino in generale e del bambino a scuola in particolare. Un dialogo autentico e alla pari tra società e scuola, tra adulti e bambini, che è tutto da reinventare.


Poesie e illustrazioni
Come arrivavano gli alunni di Faè alle bellissime illustrazioni de I bambini e i poeti? Leggevano e rileggevano insieme le poesie, si soffermavano sulle parole fino a quando tutti non avessero compreso il contenuto, il senso e la musicalità della poesia. C’era, da quanto ho potuto capire, un grande lavoro di studio della parola poetica. Solo dopo veniva l’illustrazione. E a questo proposito c’è da notare una cosa interessante: se nell’albo illustrato generalmente il rapporto tra parola e immagine affida alla parola il compito di esplicitare il contenuto e all’immagine quello di evocarlo, di approfondirlo, al limite di simbolizzarlo, ne I bambini e i poeti, il rapporto è ribaltato: è la poesia a essere ermetica, simbolica, evocativa, mentre le illustrazioni dei bambini sono molto concrete, quasi didascaliche, in un dialogo molto bello e rivelatore con i testi poetici.
Se pensiamo poi alle lamentele di moltissimi bravi insegnanti di questi anni, che si dichiarano ostaggi della burocrazia, di governi e ministri reazionari, della tecnologia, di ambienti rigidi e privi di risorse economiche che rendono impossibile fare qualcosa di sensato con i loro alunni, un’altra cosa che colpisce è l’approccio di questo maestro, che nonostante l’origine poverissima e in molti casi analfabeta delle molte famiglie dei bambini, non scansava il difficile e l’ostico, lo prendeva di petto nella totale fiducia che quei bambini avessero la maturità sufficiente per capire poeti contemporanei come Montale, Saba, Sinisgalli, ma anche Lee Master, Hölderlin e altri che risulta leggesse insieme ai suoi alunni.
A guardare le illustrazioni del libro è facile notare una certa omogeneità del segno delle linoleografie, fatte tutte da mani diverse, ma simili nello stile e nello sguardo. Da che cosa è data questa omogeneità? Io penso sia il prodotto di due fattori: da un lato il lavoro cooperativo, che comportava una grande organizzazione degli spazi, dei tempi, dei materiali e perfino delle “economie” necessarie alla stampa e alla diffusione dei periodici dei bambini, e in seconda battuta la tecnica di stampa. La materia (le tavolette di linoleum) e gli strumenti (le sgorbie, i taglierini, il rullo di inchiostro) vincolano e al tempo stesso esaltano la creatività dei bambini fornendo all’immagine un ritmo in cui il lettore non riconosce la singola mano che l’ha prodotta, identificabile solo dalla sigla con cui Faè voleva che i piccoli incisori firmassero le loro opere. Quello che lo sguardo del lettore nota è invece una certa uniformità nella prospettiva, nella luce, negli sfondi, nel movimento delle linee. Questo potere della materia e della tecnica di vincolare e al tempo stesso esaltare la creatività è un anche grande insegnamento pedagogico, che anche maestri e insegnanti di oggi, sia di materie scientifiche che umanistiche, sarebbe bene tenessero presente.


Un libro-manifesto
Per la sfida che Faè ha lanciato a se stesso e ai bambini, per il modo in cui ha rivoluzionato la classe trasformandola in laboratorio e per il fatto che tutto questo ha avuto una ricaduta effettiva sulla comunità intorno alla scuola, I bambini e i poeti è diventato subito per Else un piccolo manifesto, un libro-guida.
Quando siamo andati a Sant’Andrea per presentare la nostra riedizione, è stato piuttosto impressionante vedere come tutto il paese si sentisse ancora parte di questa storia. Una vicenda accaduta a metà degli anni ’50, durata pochi anni perché poi Faè lasciò l’insegnamento per dedicarsi ad altro, ha lasciato un segno indelebile nella comunità e in chi vi ha partecipato. Come tutte le cose importanti, anche questa è indimostrabile, ma da quanto ci hanno raccontato, i bambini di allora hanno avuto le vite segnate da quel maestro e da quell’esperienza. Diverse bambine, che per la cultura e i meccanismi sociali dell’epoca avrebbero dovuto seguire un binario ben determinato, hanno continuato a studiare (la scuola media non era ancora unica, né obbligatoria) e hanno avuto percorsi di formazione e di vita diversi e originali, molto rari in quelle aree e in quegli anni.
Il processo di avvicinamento tra immagine e parola, attivato per il tramite di un processo di trasformazione artigianale frutto di un lavoro accurato, insieme individuale e collettivo, capace di fissare negli occhi, nelle mani e nella mente di chi vi prende parte un processo creativo spendibile in molti altri contesti di vita è in fondo quello che cerchiamo di attivare anche noi quando incontriamo bambini e adulti nei laboratori di stampa serigrafica.


P.S. Chi fosse interessato a conoscere più nel dettaglio la storia del maestro Faè e dei suoi alunni, può scrivere alla Fondazione Leonardo Sinisgalli di Montemurro (Potenza) chiedendo copia di un ricchissimo catalogo, curato da Biagio Russo, dal titolo Leonardo Sinisgalli e i bambini incisori: info@fondazionesinisgalli.eu
P.P.S. Nel corso del tempo, Else edizioni ha fatto tappa diverse volte alla Scuola Frisoun. Scuriosa QUI, QUIe QUI per scoprire alcune delle tracce del loro passaggio.


