Martedì 28 marzo 2023, partenza da Bologna, destinazione Buenos Aires, Argentina. Una donna e i suoi due figli.
Le valigie sono piene, sono riuscita a malapena chiuderle. Il viaggio di ritorno è iniziato. Poco tempo per pensare, poco tempo per salutarsi. Meglio dire “a presto…” Meglio per me, non mi piacciono quegli addi che graffiano il cuore. Volevo mettere tutto nel mio bagaglio, il buon cibo, i disegni, le scarpe che mi piacevano. E non dimenticare tutte le persone meravigliose che ho incontrato in questi mesi, tante persone che mi hanno sorpreso con la loro gentilezza, che senza conoscermi, senza capirmi al cento per cento, mi hanno dato il loro cuore e la disponibilità ad aiutarmi a migliorare.
Sulla strada per l’aeroporto di Bologna vedo per l’ultima volta l’alba italiana, l’entusiasmo che viaggia in me è grande, ma dietro di me arriva a gran velocita la nostalgia, e so che mi raggiungerà da un momento all’altro. Accelera la macchina, penso.
Prima di salire sull’aereo, un ultimo abbraccio in fretta, e subito si entra in quel territorio che appartiene allo spazio aereo, al cielo. Le porte si chiudono e non resta che salutarsi con lo sguardo. Lo so, è il momento più fragile di tanti viaggi.
Il primo aereo decolla nel cielo italiano, vedo il sole dal finestrino, il paesaggio verde della campagna, la natura e i segni di tanto lavoro agricolo. Procedendo verso nord vedo le montagne piene di neve. Da quassù tutto è bellissimo.
Arrivo sul cielo di Parigi, si vede la città fatta di piccole case colorate. E quella cos’è? Delle dimensioni di una moneta da 1 centesimo, la famosa Torre Eiffel e vicino, l’arco di Trionfo. Ho bisogno di una lente d’ingrandimento, ma non posso dire che non ho visto la Torre Eiffel.
Nell’aeroporto di Parigi si vedono lettere giganti, tutto è tranquillo, passiamo davanti a una torre di maccarons che non riusciamo a sfruttare. Abbiamo iniziato a correre da un posto all’altro cercando il nostro aereo, mancano solo 15 minuti alla partenza. Finalmente individuo l’imbarco diretto in Argentina, sento la voce di alcuni argentini e vedo persone che portano il “mate” con sé (il mate è una bevanda tradizionale argentina): senza dubbio l’imbarco giusto.
La compagnia su cui viaggio è francese, quindi parlano principalmente francese e inglese, e ogni tanto provano a parlare un po’ di spagnolo. Spagnolo! Benissimo, come me. “Buenos dias”, mi dicono, “Buongiorno” rispondo io. Mi viene da parlare ancora in italiano, “Un po’ d’acqua, per favore”. La signorina mi risponde: “Queres agua?”
Un secondo decollo. Mi aspettano 13 ore a guardare il sole nel cielo.
Durante il viaggio le mie richieste sono in italiano con accento latino, le hostess ridacchiano. È la nostalgia che mi afferra, è evidente.
Mentre volo sopra l’Atlantico le lacrime iniziano a scorrere. Penso: dai, ti ricordi che ti mancava la tua lingua, che parlavi male l’italiano? Perché piangi adesso? Nella mia testa sento l’eco delle voci delle persone che ho conosciuto, le espressioni, le risate. Non voglio lasciare l’italiano così, non è possibile, lo porto con me, come una maglietta, come una bambola d’appoggio, come un grande amico. “Scusi, signorina, vorrei un caffè, grazie”. Continuo. Non c’è nessuno che parla italiano su questo aereo?
I miei occhi rimangono aperti durante tutto il viaggio, l’oceano, le isole, il mare… Mi sembra di stare su una nave. Mi sembra di essere un angelo che guarda la terra. Il sole si allontana.
Terra in vista! La natura del Brasile. Città, boschi, ancora città, foreste, mare città, savana: senza dubbio, il grandissimo Brasile. Manca poco prima di toccare la mia terra un’altra volta. Nell mezzo del buio, come una griglia gigante, la citta di Buenos Aires, piena di luce.
Dopo un atterraggio impeccabile, scendo dall’aereo, l’aria è calda e umida. Un uomo domanda: “Argentinos?” Devo pensare qualche secondo prima di rispondere sì. L’uomo è un impiegato dell’aeroporto, è stanco, accaldato e indica dove dobbiamo uscire. Certo: i bagagli, grandi e pesanti, pieni di giochi per i miei nipoti. Ma le cose più preziose sono tutte nel mio cuore.
Mio suocero è lì che mi aspetta, io faccio un’entrata da stella di Hollywood, tutti i bagagli cadono per terra, mamma mia, che disastro. Facciamo un piccolo giro per il centro di Bueno Aires, l’Obelisco, una birra nella notte “porteña”.
Il giorno dopo viaggiamo lungo la via del sud, verso Entre Rios, la mia provincia. Tanta campagna, alberi, animali, uccelli, il fiume: ecco il mio habitat. Finalmente ritrovo l’abbraccio della mia famiglia.
Allora, non ascoltare né parlare più italiano? Qui si parla lo spagnolo, l’argentino, diciamo. Lo spagnolo è la mia madrelingua. Ma l’italiano è la mia “lingua amica”. Tutti abbiamo una madre, ma non sempre troviamo un amico vero, quell’amicizia che si sceglie, che accompagna, che abbraccia anche da lontanano. Come con tutti gli amici, all’inizio è stato difficile, poi ho stretto un legame molto forte con l’italiano. D’ora in poi parlerò con il mio amico, l’italiano, come si parla con un amico nei nostri pensieri, nel cuore, nei nostri ricordi. Finché un giorno tornerò in Italia, a Nonantola, cercando l’abbraccio dell’amicizia.