Cari Frisouniani,
quanto tempo! È davvero da tanto che non entro dalla porta della scuola Frisoun, ma, ahimé, impegni lavorativi e accademici mi tengono lontano. Al momento, infatti, mi trovo a Pamplona, capitale della regione della Navarra, in Spagna, perché ho vinto una borsa di studio Erasmus.
Partiamo dal principio, per chi ha poca dimestichezza con il termine: l’“Erasmus” è un progetto che da oltre trent’anni permette a giovani di tutta Europa, e non solo, di svolgere un periodo di studi all’estero senza dover pagare nessuna tassa ulteriore se non quelle della propria università di appartenenza, e ricevendo una borsa di studio che aiuta a integrare le spese del viaggio.
È un progetto che moltissimi giovani hanno in testa e anche per me era da molto tempo nella lista delle “cose da fare”. Nello specifico mi trovo a Pamplona per svolgere una parte della mia tesi di laurea (sperimentale) e la durata totale del viaggio sarà di sei mesi. Il mio è un Erasmus un po’ atipico: infatti se l’immagine generale che si ha del giovane in Erasmus è quella di una vita “loca”, sempre a far serata e a far festa – e in parte è così anche per me! – la mia esperienza si sta rivelando in realtà più di simile al lavoro che allo studio. La mia tesi, infatti, si svolge in un laboratorio di ricerca all’interno del campus privato dell’Universidad de Navarra e ha con tema la veicolazione farmaceutica (non sto a scendere nei dettagli tecnici). Fin dall’inizio il mio “lavoro” si è rivelato un’impresa. Sarà che ancor prima di partire, un po’ perché era la visione comune che mi sentivo riferire da tutti, un po’ perché, dopo quattro anni e mezzo di esami e lezioni universitarie, speravo fosse arrivata la parte “facile”, sarà che pensavo che sarebbero stati sei mesi relativamente “leggeri”… non mi ci è voluto molto a capire che la situazione era molto diversa da come immaginassi. Nei primi mesi, da marzo a luglio, infatti, ho passato più ore in laboratorio che in strada o nella cameretta della mia residenza per studenti. Inoltre mi sono resa conto quanto sia complicato il mondo della ricerca e quanto, in certi ambienti, i risultati quantitativi siano tanto importanti da portare a una competizione tossica i membri di uno stesso gruppo.
Fortunatamente, fino ad ora la mia esperienza non è stata relegata solo a un buio laboratorio, ho infatti avuto occasione di conoscere molte persone soprattutto studenti e soprattutto italiani: penso che siamo la nazionalità più presente tra gli studenti Erasmus, almeno qui a Pamplona. Ho fatto dei bellissimi viaggi, soprattutto nel nord della Spagna, e anche esperienze un po’ fuori del comune, come le due tappe del Camino di Santiago in cui mi sono cimentata durante un fine settimana.
I paesaggi atlantici, quasi più simili al nord Europa che al resto della Spagna, mi hanno investito dal primo momento, tanto che il primo pensiero alla vista di così tanto verde mi ha riportato a un’altra esperienza di studio all’estero: Dublino! Anche il meteo ricorda più la capitale irlandese che la capitale spagnola: qui spesso piove e fino a fine giugno sono praticamente sempre andata in giro con una giacca perché faceva caldo a intermittenza. Penserete: “che fortuna mentre a Nonantola si muore di caldo!”, e in effetti non avete tutti i torti, ma devo ammettere che solo da metà luglio mi è sembrato di essere effettivamente in estate. Un altro aspetto che mi ha molto affascinata della Spagna è stata la quantità di regioni autonome e di lingue locali che parlano. Per esempio, qui a Pamplona si può leggere praticamente ovunque, insieme con il castigliano, l’Euskera (o il basco), una lingua autoctona che, a quanto pare, non si riconduce a nessun’altra lingua europea e che ancora si studia a scuola con corsi interamente in Euskera.
La particolarità per cui più è conosciuta Pamplona è, però, la festa di San Fermin, o Los San Fermines (riferendosi ai giorni della festa). È una festa che attira persone da tutto il mondo, soprattutto inglesi e australiani, ed è stato strabiliante vedere come nel giro di un giorno la popolazione della città, che si attesta sui 200mila abitanti, si è praticamente quintuplicata! Il vero giorno di San Fermin è il 7 di luglio, ma già dal 6 iniziano i festeggiamenti con l’Almuerzo e il Chupinazo in Plaza de Castillo. La festa continua per oltre una settimana, fino al 14 luglio, con momenti religiosi, come la processione delle reliquie di San Fermin, momenti di festa e musica, con palchi e concerti in ogni angolo della città, e di vero folklore. La tradizione più famosa è la corsa dei tori, l’Encierro, la vaquillas, che consiste in giochi e corse con vitelli nell’arena, e la corrida. Da vegetariana, non sono mai stata una grande fan di questa festa, e tutt’ora non mi sento di approvarla in ogni suo aspetto, però ammetto che vedere una cosa così “in grande” non mi era mai successo ed è stato davvero emozionante e travolgente vedere riempirsi la città di feste, bande che suonavano, concerti all’aperto e persone che ballavano e si divertivano. Sono contenta di averla vissuta più da “residente” di Pamplona che da turista.
Non tutto però è stato sempre rose e fiori. In effetti, mi sono resa conto, fin dal primo giorno a Pamplona, che stare così tanto tempo lontano da casa non è così semplice da gestire come pensavo. Il fattore “nostalgia” forse l’ho un po’ sottovalutato avendo sempre vissuto nello stesso posto tutta la mia vita e circondata dalla famiglia, dagli amici e da tutti i miei punti di riferimento. L’idea di essere catapultati in un altro paese, per quanto non lontanissimo dal tuo, in un’altra realtà, circondata da persone nuove e abitudini diverse, mi ha travolto non appena ho messo piede nella mia nuova camera. Non avere i miei spazi, non poter predisporre di tutte le mie cose, non essere più circondata dagli impegni e dalle persone che rendevano familiare la mia quotidianità a Nonantola, mi ha messo un po’ in crisi. Mi ha fatto riflettere davvero tanto su quanto il rapporto che ho con la mia terra e i miei luoghi sia forte e su come dev’essere ancor più difficile decidere di lasciare la propria casa per sempre come hanno fatto molti studenti della Scuola Frisoun.
Non nascondo che mi ci è voluto del tempo per abituarmi, e forse non mi abituerò mai del tutto, ma pian piano sono queste le esperienze che ti rendono più consapevole di te stesso e capace di affrontare anche momenti di crisi. Al di là dei bellissimi posti che ho visto, della formazione che sto acquisendo e delle persone che ho conosciuto e che ormai sono una presenza costante della mia vita qui (e che spero continueranno ad esserlo anche una volta tornata), questo “viaggio” mi sta aiutando a capire davvero cosa voglio nella vita, cosa mi aspetto, quali sono i miei limiti ma anche quali sono le capacità a partire dalle quali posso mettermi più in gioco.
Non posso che concludere questa lettera dicendo che mai come in questa esperienza, ho capito quanta verità c’è dentro la frase “un viaggio non ti lascia mai come quando sei partito”.