Una dicotomia fondamentale soggiace a ogni aspetto della vita in Marocco: quella tra bldi e rumi. Bldi vuol dire “della terra”, e viene usato per lodare i prodotti locali, autentici, genuini ed artigianali. Rumi invece è un termine dispregiativo per i prodotti industriali, soprattutto il cibo, ma in generale tutto quello che è trasportato dall’estero. Ci è sembrato naturale intitolare Gnawa Rumi il CD che raccoglie per la prima volta la versione italiana di questo stile musicale e rituale marocchino, registrato nel 2021 da musicisti marocchini e italiani residenti in Italia: la parola rumi infatti viene da una parola araba classica per designare l’impero romano bizantino, sicuramente legata al termine “Roma”.
La musica della confraternita gnawa ha la sua origine mitica in una grande migrazione forzata, quella delle migliaia di abitanti dell’Africa Occidentale portati in schiavitù in Marocco sin dal XVI secolo. I brani gnawa si suonano durante lunghi rituali notturni in cui gli sradicati, gli esclusi, i marginali, insieme agli integrati, sono chiamati a cantare e ballare insieme per ore, abbattendo le barriere sociali tra diverse culture, colori di pelle, status sociali, orientamenti di genere, appartenenze etniche e religioni. È considerata una delle forme di sufismo popolare marocchino; si suona soprattutto nelle città, come Essaouira, Marrakech, Casablanca, dove si sono radicati gli schiavi dopo la diaspora, e dove negli anni Sessanta gli gnawa hanno iniziato a suonare per i turisti e i visitatori. Purtroppo l’attenzione degli studiosi della gnawa finora si è diretta soprattutto alla ricerca di “autenticità”, agli aspetti più esotici e spettacolari di questo complesso rituale: la trance che sorge durante i rituali, spesso chiamata “possessione”, le categorie di spiriti africani e orientali evocati dalle varie canzoni, i rapporti misteriosi e mistici degli gnawa con l’invisibile. Meno attenzione ha ricevuto l’organizzazione materiale della confraternita gnawa, che da secoli permette agli esclusi e agli emarginati, sia uomini che donne, di costruirsi degli spazi di libertà in città ostili, di viaggiare e di attraversare le frontiere.
Una nuova e diversa diaspora porta oggi in Europa il repertorio di questa comunità, che ricercatori e musicisti finora dovevano andare a cercare lontano: chi lo suona ha subito la violenza delle frontiere, dell’attraversamento illegale del Mediterraneo, della mancanza di documenti in paesi dove i migranti sono pubblicamente stigmatizzati. Questa musica diasporica li aiuta non solo a mantenere il ricordo delle loro origini, ma anche a scuotere e mettere in discussione la società che li circonda: a rompere le nuove barriere sociali e stereotipi su arabi, musulmani e non bianchi, a creare nuovi legami e a fare di questa terra la loro nuova casa. Paradossalmente, sembrerebbe che la gnawa europea, nella diaspora, svolga la sua funzione originaria anche più che in Marocco, dove è adesso celebrata come parte del patrimonio immateriale della nazione, con il patrocinio del re e dell’Unesco. In Europa, la gnawa è invece uno strumento di riconnessione per comunità migranti frammentate dallo sradicamento, e di riconnessione con i nuovi paesi, dove i musicisti gnawa costruiscono gruppi fusion, partecipano a concerti ed eventi musicali, a volte celebrano anche i loro rituali.
La musica del CD che abbiamo curato è rumi perché mette in crisi l’idea dei migranti come portatori di artefatti musicali arcaici da preservare: queste tracce sono ibride non solo perché i musicisti hanno vissuto in Italia a lungo e suonano con musicisti (e ricercatori!) italiani; anche perché la musica gnawa in sé è ibrida, è un prodotto di confine e di diaspora, che conserva l’eco delle miriadi di incontri e trasformazioni che l’hanno modellata nel tempo. Il disco Gnawa Rumi celebra il continuo lavoro di appaesamento e radicamento degli gnawa marocchini in Italia e di tutti i migranti e le migranti, come contributo a un futuro prossimo in cui attraversare deserti e mari per crearsi una vita altrove non sarà più un obbligo o un privilegio di pochi, ma una scelta e un diritto di tutte e tutti.