Un romanzo che mette al centro generazioni di una famiglia indiana di bramini che vive i profondi, ma inesorabili cambiamenti di un paese che passa da essere colonia britannica, all’indipendenza, attraversando la partizione, la divisione tra India e Pakistan prima, poi, decenni più tardi, del Bangladesh. Una storia intrisa di violenza, politica e culturale, di profonde divisioni interne, religiose e di casta e donne e uomini che attraversano con coraggio le trasformazioni sfidando privilegi e arroganza basate sullo sfruttamento degli ultimi, trattati come schiavi e non persone.
Gomati Paati, la capostipite. Prima moglie, poi madre, poi nonna-madre, poi bisnonna. Figura femminile forte e giusta, contrariamente ai figli maschi, il maggiore, Vishu, intellettuale fallito e debole, il minore, mostro disumano, abbandonato anche dai figli.
Raman, detto Ramu, la cui nascita è segnata dal lutto della perdita della madre e il cui nome è scelto dalla nonna materna, contrariamente alle consuetudini. Un’infanzia traumatizzata dalla scoperta del corpo assassinato di Murugappa, servitore della famiglia. Una giovinezza vissuta nell’amore scandaloso e non ricambiato per Ponni, figlia di Murugappa, cresciuta a Madras dallo zio, Chellappa, rivoluzionario ribelle al sistema culturale chiuso che domina sia Paavalampatti, il villaggio Tamil in cui la vicenda ha inizio sia l’intera India. Un’adultità di lotta contro la discriminazione a fianco dell’amico fraterno Arokiasany, detto Arokia e Ponni.
Chiude questo romanzo il racconto del figlio di Ramu e Ponni, Selvam venuto al mondo esattamente nel primo raccolto di manghi staccati dall’albero piantato da Ponni che alla nascita si rivolge al figlio dicendogli: Guarda Selvam, guarda questo grande albero. Tu e l’albero state crescendo insieme. Questo albero è tuo fratello.
Alberi che scandiscono momenti importanti del racconto: il primo è il tamarindo dove Ramu trova il corpo straziato e senza vita di Murugappa. Poi l’albero di mango che sembra schiudere una vita di dolcezza a Selvam e alla sua famiglia. E gli alberi intorno alla scuola di Athanoor, piantati da Ponni perché ogni scuola dovrebbe averne.
Una vicenda che vede protagonisti villaggi e città diverse: Paavalampatti, Madras, Calcutta e Athanoor.
Un romanzo dominato dalla violenza, dalla cupidigia, dagli ostinati silenzi che impediscono ai personaggi di riconoscersi e che li allontanano, inesorabilmente, fino alla morte. Il racconto è dominato dall’universo chiuso e asfissiante di Paavalampatti e si chiude sulla possibile promessa della ripresa di un dialogo interrotto per anni tra Selvam e la madre, Ponni, reclusa nella Prigione Centrale di Madras.
Recensione a cura di Chiara Scorzoni.
Il fantasma del tamarindo, Subramanian Shankar, Ibis, O barra O edizioni, 2021. Il libro è presente nella biblioteca della Scuola Frisoun dove è possibile consultarlo o prenderlo in prestito.