Partamm è anche il titolo di un videodocumentario che raccoglie le storie e le voci dei nonantolani (o dei loro nipoti) emigrati in Sud America in cerca di un futuro migliore, quelle dei nuovi nonantolani arrivati a Nonantola dai quattro angoli della terra e quelle di chi ha ascoltato le memorie di viaggio tramandate di generazione in generazione nelle famiglie di emigrati Nonantolani di fine Ottocento in Brasile.
Per vedere il video è possibile scaricarlo dal sito Migrer, il Museo virtuale dell’emigrazione emiliano-romagnola nel mondo, oppure dal sito del Museo di Nonantola, dove è possibile scaricare sia una versione breve che quella completa.
Per maggiori informazioni e per eventuali presentazioni del video nelle scuole o in altre occasioni pubbliche è possibile contattare i due servizi culturali del Comune di Nonantola che l’hanno ideato e realizzato:
Centro Intercultura: intercultura@comune.nonantola.mo.it 3311361530
Museo di Nonantola: museo@comune.nonantola.mo.it 059896656
Marcello Prampolini ha svolto il tirocinio universitario all’interno del progetto Partamm facendo da traduttore e da facilitatore del dialogo con gli intervistati brasiliani che parlano in portoghese brasiliano. Per la serata di presentazione di Partamm e per Touki Bouki ha scritto questo intervento di sintesi che collega la propria biografia al progetto, offrendone una chiave di lettura personale e attualizzante.
Mi chiamo Marcello Prampolini, sono uno studente di lingue e letterature straniere all’università di Bologna, ho partecipato alla ricerca Partamm attraverso un tirocinio universitario e ringrazio Chiara Ansaloni per avermi dato questa opportunità.
È stata un’occasione particolarmente importante per me, perché mi ha permesso di aggiungere altri tasselli al mio rapporto con il Sud America. Sono nato in Brasile, sono stato adottato da una famiglia di Nonantola, la mia famiglia, Carlo, Nadia e mia sorella Giulia, che sono venuti a cercarmi fino in Brasile e mi hanno portato qui.
Sono cresciuto a Nonantola, ma man mano che diventavo adulto non riuscivo a non pensare al Brasile. Quando da piccolo andavo a scuola e in geografia studiavamo i vari Paesi del mondo non riuscivo a non dire ai miei compagni “Ecco! io sono nato qui, questo è il mio Brasile”. Il Brasile… un Paese grande come un continente, impossibile da ignorare, un Paese che nonostante ci sia un oceano in mezzo a separarmi da lui, io ho sempre sentito vicino.
Spesso, soprattutto da piccolo, mi chiedevano “Marci, ma ti senti più italiano o brasiliano?”, ammetto di non ricordare bene cosa rispondessi in quei casi, mi viene da dire che a volte rispondevo l’uno e a volte l’altro, o forse immediatamente rispondevo “italiano” per non essere etichettato come straniero. Ma forse una risposta non c’è, non esiste, perché l’identità di ognuno di noi è la somma di tutto ciò che siamo, che abbiamo fatto, visto, delle nostre appartenenze. Per esempio io sono nato in Brasile, sono cresciuto a Nonantola, sono stato battezzato, ho fatto comunione e cresima, ho studiato al liceo scientifico a Modena e poi lingue a Bologna. Ho fatto tutte queste cose e sono tutte queste cose. E queste appartenenze mi hanno fatto sentire parte di un gruppo, anzi di diversi gruppi, ed è confortante non essere esclusi, ma non dobbiamo rinunciare al nostro “io” a favore di un generico “noi” che anche se più facile e comodo sarebbe comunque limitante.
Quello che vorrei dire è che dobbiamo evitare di chiuderci dentro gruppi o categorie, viviamo in una società multiculturale che ci porta a confrontarci ogni giorno con culture diverse, a scuola, al lavoro, nella nostra quotidianità e con o senza di noi la società andrà comunque in questa direzione.
Da decenni l’Italia è un paese di immigrazione, esattamente come il Brasile lo è stato per gli italiani alla fine dell’800 o gli Usa per ebrei, polacchi, irlandesi nel ‘900…dunque chi è lo straniero e chi lo sarà domani?
Da anni si parla di ius soli, di ius scholae o di ius culturae e di un modo per dare la cittadinanza italiana, e quindi diritti e doveri, a chi di fatto vive e progetta e costruisce la sua vita in Italia. Se ne parla ma non si arriva mai in fondo. Ma come si può integrare qualcuno nella società chiedendogli gli stessi doveri e concedendo meno diritti?
Rimango convinto del fatto che l’Italia possa e riesca, anche in ragione della sua storia e del suo passato, dimostrare di essere un paese interculturale, dove le differenze vengano accolte, l’incontro con culture diverse sia desiderato e le storie di vita come quelle dei nostri intervistati vengano raccontate, ma soprattutto ascoltate.