Le biciclette della mia vita

19 Giugno 2024

Olena, che preferisce farsi chiamare Elena, è arrivata a Nonantola insieme alla madre a seguito dell’acuirsi della guerra in Ucraina nel marzo del 2022. Ma come racconta anche lei, è “in fuga” da molto prima. Durante una delle lezioni di italiano del gruppo avanzato della Scuola Frisoun, dopo che abbiamo raccontato la novella del Boccaccio “Andreuccio di Perugia” (che nonostante le disavventure strampalate che gli capitano a Napoli, torna a casa con un anello prezioso, più ricco di quanto non fosse all’inizio della storia) abbiamo chiesto agli studenti se nella loro vita ci fosse un oggetto importante, che li facesse sentire “ricchi”. Elena ha pensato subito alle biciclette della sua vita. Il racconto che segue è frutto di un’intervista di gruppo che i maestri e i suoi compagni le hanno fatto a distanza di una settimana per raccogliere più dettagli della sua storia.


Per prima cosa vorrei dire che gli oggetti materiali, da quando sono stata costretta a lasciare la mia casa di Lugansk, nel 2014, non sono più così importanti per me. Ma se proprio dovessi dire un oggetto che è stato “prezioso” nella mia vita direi la bicicletta. Non dico questa bicicletta, la bici che uso a Nonantola, ma le biciclette in generale.

A volte penso allo zio Tolia, che a 12 anni mi ha insegnato ad andare in bicicletta e ancora mi viene da ringraziarlo, ovunque si trovi, per il regalo che mi ha fatto. La sua famiglia abitava vicino alla mia, a Lugansk. Io ero molto amica di sua figlia. Lei ora vive in Russia e ci sentiamo spesso. Io non ho mai conosciuto mio padre, vivevo solo con mia madre, e d’estate Tolia mi portava in vacanza con sua figlia nella casa di campagna della nonna. E là mi ha insegnato ad andare in bici.

Dal 2022 abito a Nonantola, ma so come sta la mia casa a Lugansk, perché ho un’amica che vive ancora lì e mi informa sulla situazione. Nella mia casa adesso vive un’altra donna; non prendo affitti, ma almeno non devo pagare tasse e utenze.

Una volta ho letto che la tua casa non è qualsiasi casa, ma è dove ti fermi e senti che non hai più voglia di andare via. Io non so se una casa così l’ho trovata, ma sicuramente la mia casa di Lugansk era molto importante per me. La mamma sostiene che quando ero ragazzina io abbia sempre detto di voler andare via da Lugansk, ma sinceramente non me lo ricordo. Sicuramente dopo il 2014 non ero molto tranquilla là, anche se posso dire di non avere mai avuto dei grandi problemi.

Da quando ho dovuto lasciare Lugansk, nessuna casa è stata più importante per me. Quando nel dicembre del 2014 sono tornata perché c’era una perdita d’acqua nell’appartamento sopra il mio e ho rivisto la mia casa, ho pensato che sarei tornata là solo per morire.

Ho realmente capito cosa fosse una dittatura quando un giorno soldati dell’esercito russo sono entrati a Lugansk e hanno detto: “Questa adesso è casa nostra”. Ho capito che non potevo ribellarmi né protestare, ma anche se stavo zitta, era tutto scritto sulla mia faccia, quindi per me era diventato pericoloso rimanere lì. È così che io e mia madre ci siamo trasferite a Kharkiv.

Quando sono arrivata a Kharkiv ho pensato che ci sarei rimasta per pochi mesi, un anno al massimo. E invece di anni ne sono passati sei. Kharkiv è una città molto bella, ma c’erano anche tante cose brutte. Anche Kharkiv è una città un po’ “sovietica”. È come se l’Unione Sovietica fosse entrata nel cervello delle persone. Il mio primo anno lì è stato difficile. In tutte le cose che facevo trovavo molti ostacoli. E poi avevo sempre paura che quello che era successo a Lugansk potesse capitare anche lì. Così nel 2020 mi sono ulteriormente allontanata dal confine russo e mi sono trasferita a Kiev.

A Lugansk non avevo una bicicletta, anche perché lì i ragazzi andavano in bici, le ragazze no. Della mia prima bicicletta ricordo solo che era più piccola di una bici normale e che era verde. Non ho mai pensato quale potrebbe essere la bici dei miei sogni perché per me qualsiasi bicicletta va bene. L’importante è che cammini. Se proprio dovessi cambiare bici, ne vorrei una con le gomme più grandi e più resistenti, perché da quando sono in Italia a causa delle gomme ho rischiato due volte di fare un incidente. Finora in Italia ho avuto una sola bici, quella della suocera della mia amica, perché lei non ne ha più bisogno.

A Kharkiv prendevo la bici a noleggio perché facevo qualche giro solo per divertimento, non era un mezzo di trasporto come adesso. In più non avevo un parcheggio per lasciare la bicicletta perché vivevo in un condominio e non avevo posto. Mi allontanavo dal centro con un mezzo pubblico, noleggiavo una bici e facevo un giro di circa 10-12 km. Andavo spesso in un parco che si chiamava “Zoo-park di Feldman”, dove c’erano degli animali bellissimi. A volte c’erano mostre di fiori ed era bello fermarsi a fare un picnic. Adesso quel posto non c’è più. Almeno non come lo ricordo io. È stato bombardato, alcuni animali dello zoo sono morti, qualcuno è scappato, molti sono stati evacuati a Kharkiv e hanno dovuto cambiare casa, come me.

Ho capito quanto la bicicletta fosse importante solo qui a Nonantola perché è qui che ho cominciato a usarla come vero e proprio mezzo di trasporto. Prima di venire in Italia vivevo in città grandi e non avevo problemi con i mezzi pubblici. Per questo motivo non ho imparato a guidare la macchina.

La bicicletta mi dà un senso di libertà. Non mi piace dipendere da altre persone e non riesco a immaginare come potrei stare senza. Anche adesso quando ho qualche pensiero o quando sono un po’ triste faccio un giro in bicicletta e subito mi sento meglio.

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