La chiave è la matematica

29 Gennaio 2025
Fotografia di Fakhri El Ghezal

Primo giorno di scuola

Anche in Tunisia per poter insegnare bisogna superare un concorso. Ma quell’anno mancavano molti insegnanti di matematica e così il 6 giugno del 1996 mi sono laureata e il 17 giugno mi hanno dato una cattedra senza concorso a 300 chilometri dalla mia città. Ben Guerdane aveva una pessima fama. Mi avevano detto che era una città povera, arretrata e pericolosa.

Quando sono entrata per la prima volta nella classe di liceo che mi era stata affidata, la prima cosa che ho notato è che gli studenti erano tutti più alti di me. E forse loro hanno notato che io ero più bassa di tutti loro. Ma non gli ho dato troppa importanza e ho cominciato la lezione. Prima che iniziassi a spiegare uno studente ha messo il cancellino sopra la lavagna, così in alto che non sarei riuscita a prenderlo. Ho notato subito quel movimento ma ho fatto finta di niente e ho iniziato a spiegare. Quando la lavagna era terminata era necessario cancellare le scritte per poter procedere. Allora mi sono rivolta a quello studente e gli ho chiesto: “Come ti chiami?” Lui ha detto “Hichem”. “Bene Hichem, sei stato molto concentrato e attento. Adesso puoi cancellare quello che ho scritto?” Lui è rimasto spiazzato dalle parole che gli ho rivolto e così quando gli ho chiesto di cancellare tutto, non ha fatto una piega, ha preso il cancellino e ha pulito tutta la lavagna.

Ho lasciato il mio lavoro due anni fa, quando ho deciso di raggiungere mio marito e le mie figlie in Italia. Ho preso un’aspettativa non retribuita di cinque anni dalla scuola. Mi rimangono tre anni e poi dovrò decidere cosa fare: o trovare un lavoro in Italia che mi permetta di continuare a versare i contributi, oppure rientrare in Tunisia. Dopo 26 anni di insegnamento, non sarà facile trovare un lavoro adatto a me qui in Italia.


Non fa per te

Senza mio padre non sarei mai diventata un’insegnante. È mio padre che mi ha sempre sostenuto nello studio, mi ha incoraggiato ad andare all’università, mi ha sbloccato quando il primo anno sono andata in crisi.

Per continuare a studiare, dopo il diploma, dovevo andare a Tunisi perché l’università di Gafsa, la mia città, non aveva il corso di specializzazione che mi interessava frequentare. Mio zio che era astronomo ma era finito a fare l’agrimensore perché in Tunisia non c’erano centri di ricerca, diceva che una ragazza come me non poteva andare a vivere così lontano da casa e per di più da sola. Dovevo accontentarmi di un corso professionale a Gafsa, sperare in un matrimonio e mettere su famiglia. Era questo a cui dovevo puntare.

Fra l’altro, l’anno in cui mi sono diplomata e dovevo decidere cosa fare della mia vita, è morto mio fratello, una delle persone per me più importanti. Fausi è morto nel pieno della vita. Ho pensato a lui quando su Touki Bouki ho letto la storia di Hakeem. Come Hakeem mio fratello se n’è andato molto giovane, a 32 anni. Io ne avevo 19. Era diventato ingegnere dei materiali in Francia con una borsa di studio statale per meriti scolastici. Tornato dalla Francia aveva trovato una buona posizione e la sua vita stava incominciando a fiorire quando gli hanno trovato un tumore del sangue.

Ma mio padre aveva fiducia in me e nonostante la tragedia di mio fratello ha appoggiato la mia scelta di andare a studiare matematica a Tunisi.


Gli anni di università

Ho fatto l’università di “Tunisi-El Manar”. Matematica e fisica per due anni e poi la specializzazione in matematica per altri quattro anni.

Non posso dimenticare la prima volta che sono arrivata a Tunisi. Sono entrata in città alle 9 di sera e tutto era illuminato. Ovunque girassi i miei occhi tutto era immerso nella luce. La prima cosa che ho pensato è che mi sarei persa in una città così. Venivo da una piccola città di provincia, Gafsa, grande quanto la metà di Modena. È quando sono arrivata a Tunisi che mi sono resa conto per la prima volta di come la mia città fosse povera e piccola. L’università era come un intero quartiere di Gafsa! Ero spaventata dalle cose più semplici: i lunghi corridoi, l’aula ad anfiteatro, la lavagna che si abbassava e si alzava con un bottone… Tutto mi sembrava eccezionale.

All’università uno degli incontri più importanti è stato con il professor Tuibì. È lui che mi ha incoraggiato quando mi sono bloccata. Il primo anno è stato davvero duro. La morte di mio fratello, tutti quei cambiamenti, io da sola in una città sconosciuta… Ero in uno stato confusionale e non sono riuscita a superare gli esami finali del primo anno. Ricordo che il terzo giorno di esami quando ho preso in mano il test di fisica, non capivo niente di quello che c’era scritto. Anche le cose più semplici mi sembravano scritte in una lingua sconosciuta. Davanti alla “E” della formula E=mc² ho pensato: ma io non ho mai visto questo simbolo! Mensieur Tuibì mi ha chiesto: “Aida, ma perché non ha studiato bene?” In quei giorni sembrava di star diventando matta.

Quando sono tornata a casa, dopo gli esami del primo anno, ero sempre stanca, mi sentivo triste, pensavo di non riuscire a fare niente e che non c’era più niente di importante che valesse la pena fare. Non mangiavo e non volevo parlare con nessuno. Il dottore mi disse che era una forma depressiva.

Anche in quell’occasione è mio padre che mi ha dato la forza di andare avanti. Quando ha visto i risultati del primo anno d’università, mi ha detto due parole che non dimenticherò mai: “Aida, perché così?”. E poi è andato via.

Mio padre non parlava molto. Era una persona riservata, ma non ci ha mai trattato male. Però alcune espressioni tipiche. E quando quel giorno ha detto quelle parole mi si è rotto qualcosa dentro. Da quel momento Aida è cambiata. Da quel momento non ho più sbagliato un esame.

Anche Monsieur Tuibì mi ha aiutato molto. Quando sono entrata in aula per l’esame finale di prima, lui mi ha visto e ha detto “Cosa ci fa qui?”. Ho detto: “Monsieur non ho ancora superato l’esame…”. Da quel momento si è preso cura di me, mi parlava con premura, mi incoraggiava, mi consigliava di non esagerare con lo studio: fai le cose importanti e basta, diceva. Dopo quel periodo tutto è andato bene e gli anni di università sono stati tra i più belli della mia vita. E la matematica è diventata la chiave principale con cui da allora guardo alle cose della vita.


Ricominciare

Dopo 26 anni di insegnamento, è stato molto difficile lasciare il mio lavoro, prendere un’aspettativa non retribuita e venire in Italia.

Mi mancano molto i miei studenti e i miei colleghi. E poi a volte non si pensa a quanto pesi la solitudine per chi lascia il suo paese. Qualche settimana fa sono arrivata davanti al Cpia, dove frequento delle lezioni di italiano, ma l’ho trovato chiuso a causa di uno sciopero. Stavo tornando a casa quando una mia compagna di scuola mi ha chiesto se andavo al bar con lei. Io l’ho ringraziata ma le ho detto che avevo delle cose da fare. Allora lei ha insistito: “Per favore, ho preso la patente e sono contenta, e non ho amici per festeggiare”. Mi ha spiazzato e ho pensato che dovevo agire saggiamente. Allora siamo andate al bar e abbiamo chiacchierato un po’.

Adesso, dopo due anni che vivo in Italia, sono contenta della scelta che ho fatto perché non potevo perdere la mia famiglia, in particolare mia figlia minore. La grande ormai è responsabile, studia all’università e vive da sola, ma Saja fa la terza media ed è nel pieno dell’adolescenza. Non credo che quando scadrà l’aspettativa potrò tornare a insegnare. Da quando ci siamo ritrovate, Saja mi chiede spesso se penso di tornare in Tunisia. No, le dico, non ti lascio più da sola. “Ma sei felice lo stesso, mamma?” E io finalmente, dopo due anni, le posso dire: “Sì, sono felice, non penso più al mio lavoro.”

Una delle persone che mi ha aiutato a trovare la tranquillità in Italia, un paese dove all’inizio pensavo che una tunisina e musulmana non potesse vivere, è Elena. Elena è arrivata come me due anni fa. La nostra amicizia è talmente strana che diciamo spesso che forse è il destino che ci ha fatto incontrare. Abbiamo una cultura, una formazione, una religione, delle abitudini molto diverse… eppure quando penso qualcosa Elena mi anticipa sempre. Viceversa quando lei dice qualcosa spesso anche io l’ho pensata prima. Quando vedo qualcosa che mi fa arrabbiare trovo sempre la stessa reazione in lei. Ho capito quanto fosse importante la sua amicizia, due estati fa, durante le mie prime vacanze italiane in Tunisia. In quell’occasione i messaggi che ha iniziato a mandarmi, solo per chiedermi come stavo e cosa facevo, mi hanno molto stupito. Che ci fosse sintonia l’avevamo capito anche alla Scuola Frisoun, ma la nostra amicizia è cominciata così, attraverso i suoi messaggi che mi raggiungevano dall’altra parte del Mediterraneo.


Hichem

Quando il 17giugno del 1996, appena laureata, un funzionario dell’amministrazione scolastica mi ha chiamata e mi ha detto: “Aida, devi andare a insegnare matematica a Ben Guerdane”, non nascondo che mi sono messa a piangere. Ben Guerdane, nella provincia di Medenine, si trova nell’estremo sud della Tunisia, vicino al confine con la Libia. Era molto lontano da casa mia e tutti dicevano che era un posto povero, arretrato e pericoloso.

Sono rimasta a Ben Guerdane per quattro anni. Dopo sono stata nuovamente trasferita a Tunisi, la capitale, e lì ho trovato una situazione molto diversa. A Tunisi le famiglie sono mediamente più ricche, ma non ho più trovato studenti curiosi, intelligenti e vivi come quelli di Ben Guerdane.

Un giorno, poco tempo prima di venire in Italia, sono uscita perché avevo delle commissioni da fare e vicino a casa ho visto un ragazzo che se ne andava in giro un po’ disorientato chiedendo informazioni a tutti. “Hichem, che cosa ci fai qui?!” Aveva preso l’autobus e si era fatto trecento chilometri solo per venire a salutarmi. E non avendo i miei contatti andava in giro per il quartiere chiedendo a tutti: “Sapete dove abiti la professoressa Belgacem?”

Fotografie di Fakhri El Ghezal. Questo articolo fa parte di un numero speciale di Touki Bouki pubblicato nel dicembre del 2024. 32 pagine di storie di vita, analisi, fotografie, fumetti e cartine geografiche. Chi volesse riceverne una copia cartacea (fino a esaurimento copie) può farne richiesta, con un piccola donazione, scrivendo a redazione.toukibouki@gmail.com.

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