Quella di Giona è una storia strana, per almeno tre ragioni. È uno dei libri più corti della Bibbia: quattro paginette asciutte asciutte, con una struttura narrativa simile a una favola popolare. È uno dei libri più “multiculturali” della Bibbia, non solo perché alla fine Dio decide di risparmiare i niniviti, popolo pagano, idolatra e nemico di Israele, ma anche per la bellissima scena che avviene “sottocoperta”: in mezzo alla tempesta i marinai della nave diretta a Tarsis pregano ognuno il proprio Dio, in lingue e con riti diversi, ma che come raramente capita nella Bibbia sembrano riuscire a convivere e perfino a collaborare. Infine descrive uno dei profeti più bizzarri della Bibbia: la figura che ne viene fuori è riottosa, impacciata, enfatica, piantagrane. Un anti-eroe, diremmo oggi con categorie letterarie, che apparentemente c’entra poco con le personalità austere e integerrime dei profeti maggiori.
Le sue avventure formano il canovaccio di una leggenda dai toni comici e al tempo stesso aperto a questioni molto profonde, come ci ha fatto capire la lettura commentata che Gianni Zagni, amico della Scuola Frisoun, ha tenuto per gli studenti della scuola e i redattori di Touki Bouki l’11 e il 20 marzo scorsi.
QUI potete ascoltare un montaggio audio di quella lettura e QUI potete leggere la versione semplificata del Libro di Giona usata in quell’occasione. Di seguito, alcune note che Gianni ha scritto appositamente per Touki Bouki.
La storia, in breve, è questa: il profeta Giona rifiuta l’ordine del Signore di andare a Ninive, la grande città nemica, a denunciarne la malvagità e si imbarca per la direzione opposta. Ma si scatena una tempesta di mare; i marinai, saputo da Giona che è la sua disobbedienza a causare la tempesta, si vedono costretti a gettarlo in mare per salvarsi. Un enorme pesce inghiotte Giona, che da lì rivolge al Signore una preghiera di aiuto; il pesce lo vomita vivo su una spiaggia e Giona allora va a Ninive a proclamare la sua prossima distruzione. Incredibilmente tutto il popolo di Ninive, re compreso, lo ascolta e fa penitenza. Giona, fuori dalla città, aspetta di vederne il castigo, ma il Signore li perdona. Giona si arrabbia per questo e protesta con decisione contro il Signore, che lo rimprovera per la sua durezza e gli risponde con una domanda finale.
Non mancano momenti di ironia in questo racconto, che ha per protagonista un profeta che non vuole fare il profeta; che vuole fuggire e far perdere le tracce, ma è costretto a rivelare la sua identità e responsabilità; che proprio quando la sua profezia ha successo ne è contrariato a morte; che sembra calmarsi al riparo dal sole sotto una piantina di ricino che però il giorno dopo è già secca; e con la domanda finale che lascia Giona (e noi) in sospeso: è dispiaciuto per la fine di un ricino e invece vorrebbe la distruzione di tutta la gente di Ninive?
Ma ci sono anche momenti drammatici: la terribile tempesta nel mare con il rischio di naufragio, il sorteggio che decide la condanna di Giona all’annegamento, la sua preghiera disperata nel ventre del pesce, la predicazione di sventura nella grande violenta metropoli Ninive.
Giona non è un ribelle eroe tragico: la sua storia non finisce con un drammatico annegamento. Ma la sua non è neppure una storia a lieto fine: non finisce con la sua salvezza dal mare e con il successo della sua predicazione a Ninive, così che tutti siano felici e contenti. È una storia che vuole mettere dei problemi e dei dubbi: la parte finale, con la discussione tra Giona e il Signore, fa nascere delle domande. Perché ci viene da chiedere: anche noi ragioniamo come nel racconto, cioè che una disgrazia (qui la tempesta) è provocata da una colpa? E non ha le sue ragioni Giona a non fidarsi dell’improvviso pentimento dei niniviti e a protestare con il Signore che non mantiene la sua parola e li perdona così a buon mercato? O forse Giona è arrabbiato perché il Signore mostra la sua misericordia con un popolo che non è Israele? E il Signore si contraddice e si pente (anche lui!) del castigo minacciato e cambia idea? E come fa ad essere giusto se ha compassione e rinuncia a punire? In lui prevale il giudice o il creatore e padre degli esseri viventi?
La domanda finale, già più volte richiamata, pone anch’essa dei problemi e nel chiudere la storia lascia aperto un interrogativo che riguarda appunto il tema della compassione, da parte del Signore e da parte nostra: il nostro senso di giustizia richiede che il male venga punito, e Ninive è la capitale di un regno che minaccia e opprime Israele, e la cui popolazione è prepotente e moralmente dissoluta; è giusto che il Signore la perdoni? Ma il male si cura di più con castighi e punizioni o con interventi di recupero, di comprensione e compassione? È meglio sterminare la gente di Ninive o averne pietà e dare loro un’altra opportunità? Sono questioni che toccano la nostra coscienza e le nostre scelte, e toccano anche quello che per noi rimane un mistero, e cioè come il Signore è insieme giusto e compassionevole, giusto proprio nell’essere compassionevole.
E infine, com’è che le tre religioni a base biblica, che proclamano tutte la misericordia di Dio, ne hanno fatto invece più volte uno strumento e una giustificazione della loro violenza verso gli altri?
Una studentessa e redattrice di Touki Bouki, Aida Belgacem, durante uno degli incontri, ci ha letto in arabo la sura del Corano che racconta la storia di Giona e ci ha affascinato con la sua lettura cantilenante. Nella serata conclusiva, dalle riflessioni su questa storia sono poi nati anche dei nostri racconti personali di disobbedienze o impegni mancati, di animali strani curiosi o significativi, di cadute rischiose e risalite salvifiche: storie molto interessanti e che meriterebbero di essere raccontate su queste pagine. Ma non qui, non adesso, altrimenti questo scritto diventerebbe troppo lungo.