Il nucleo del racconto di Yaroslava, “Slava”, Hiushman è venuto fuori durante una lezione sul verbo “essere”. Dopo aver ricostruito, insieme alle studentesse, la funzione grammaticale del verbo essere (copula, ausiliare, frasi fatte, ecc.), per discutere del suo significato per così dire filosofico – cosa significa “essere” nell’espressione “io sono Slava” o “chi sei tu?” – abbiamo letto La bellezza delle vite singolari di Ugo Cornia, il racconto che chiude Sulla tristezza e altri ragionamenti, edito da Quodlibet e che trovate sul numero 14-15 di Touki Bouki. Per spiegare la passione per le lavatrici di uno studente a cui per qualche anno ha fatto sostegno scolastico, Cornia conclude il racconto con un bel “come se”:
Come se ci fosse Dio che un bel giorno ha steso per terra tanti lenzuoli, ha aspettato che ci vada a finire dentro della roba, un po’ di tutto, poi ha fatto su i lenzuoli come se fossero dei fagotti, e ogni fagotto è diventato una vita. Nel lenzuolo che è diventato la vita del mio amico ci ha messo dentro cinque o sei lavatrici, nel mio lenzuolo zero. Per questo motivo per lui la lavatrice è musica, per me è ‘fare il bucato
A fine lettura, dopo averlo commentato un po’, abbiamo chiesto alle studentesse del gruppo intermedio di scrivere cosa ci fosse finito nel loro fagotto. Cosa ci fosse finito e non cosa ci avesse messo qualcuno di natura superiore. Uno degli aspetti interessanti del racconto di Cornia è che pur lasciando aperta la possibilità del trascendente lo rende in qualche modo soggetto al caso, come noi comuni mortali. Dio si limita a far su i fagotti, non a deciderne il contenuto. Particolare di non poco conto quando si affrontano temi para religiosi con studenti di confessioni diverse e a volte di indole per così dire conservatrice.
Potevano scrivere quello che volevano, ma almeno quattro cose, dentro al loro fagotto, dovevano mettercele: una persona, un animale, un oggetto, un luogo che per loro sono stati importanti. Qualcosa che in qualche modo le ha rese quello che sono (per tornare al significato filosofico del verbo “essere”).
Da cerchi narrativi di questo tipo – a volte orali a volte, come in questo caso, scritti – vengono spesso fuori nuclei di storie interessanti che non c’è tempo di approfondire durante le lezioni, ma che, in alcuni casi, meritano di essere ampliati in altro modo o in altri contesti: con interviste collettive, individuali o in forma di scrittura libera.
Quando la possibilità di esprimersi e il contesto ti consentono un buon grado di spontaneità, la forma della cosiddetta interlingua – quella lingua che si parla in fase di apprendimento, quando non si è ancora lasciato il porto sicuro della lingua madre né si è ancora approdati alle spiagge della lingua seconda – assume a volte sembianze affascinanti e letterariamente molto belle, grazie all’uso non convenzionale che gli studenti e le studentesse fanno dei vocaboli italiani o delle strutture sintattiche che stanno imparando. Come il titolo della storia di Yaroslava – “La morte della mamma l’ha sognata un cane” – che faceva parte di uno dei testi, brevissimi, raccolti durante la lezione sul verbo “essere”, così bizzarro e intrigante che non abbiamo resistito alla tentazione di chiedere ulteriori spiegazioni all’autrice in un’intervista approfondita realizzata qualche giorno più tardi. Il cane di cui si parla è l’animale finito nel fagotto di Yaroslava, un cagnolino di nome Charlie di cui QUI si narrano le imprese.