David Oliver Yambio è il cofondatore e presidente di Refugees in Libya – www.refugeesinlibya.org – un’associazione nata nell’ottobre del 2021, quando per la prima volta è stata data voce ai migranti neri passati per i centri di detenzione libici o che vivevano per le strade di Tripoli. Alla sua formazione di attivista due anni fa abbiamo dedicato una puntata di Radio Bouki. E al “suo” Sud Sudan ha dedicato una tesi di laurea Martina Tinti.
Da un anno e mezzo l’azione di Refugees in Libia si è allargata anche alla Tunisia e ai campi profughi informali in cui si stanno ammassando migliaia di migranti subsahariani dopo i cinici accordi firmati tra Saïed, l’Unione Europea e il Governo italiano per il controllo delle frontiere europee. Dopo l’esperienza in Libia l’associazione gestisce una linea telefonica di emergenza attiva 24 ore su 24 per le persone in difficoltà nel deserto, negli accampamenti informali o nei centri di detenzione. Le telefonate arrivano anche dall’Algeria, dal Marocco, dalle coste della Grecia, dai Balcani, dall’Ungheria, dalla Polonia. Ultimamente moltissime chiamate arrivano dalla Tunisia. (TB)
La maggior parte dei migranti subsahariani che si trovano in Tunisia vive in una area relativamente estesa che si trova tra le città di Sfax, El Amra, Zarzis, Ben Gardane e Jendouba, tutte, tranne quest’ultima, vicine alla costa e collocate in punti strategici per chi voglia attraversare il Mediterraneo.
Molti migranti subsahariani vivono ammassati negli uliveti intorno a Sfax, in accampamenti informali costruiti da loro stessi sfruttando la presenza degli alberi per creare ripari con teli di nylon e indumenti. Quando arriva una nuova persona senza altro luogo in cui andare, si aggrega, costruendo un ulteriore riparo, e così gli accampamenti si estendono giorno dopo giorno: ci sono migliaia di persone accampate nelle aree intorno a Sfax. Gli uliveti appartengono ad agricoltori tunisini che spesso sono costretti a svuotare le fosse biologiche usate dai migranti. È facile immaginare la tensione che genera questa situazione e i gravi rischi di infezioni che ne possono derivare: il timore è che possa presto scoppiare prima o poi un’epidemia di tifo.
Tutto questo accade soprattutto a causa della stretta xenofoba del governo tunisino nei confronti dei neri. Le persone che prima affittavano le case ai migranti hanno iniziato a cacciarli. Se sei nero, è quasi impossibile affittare una casa, non puoi prendere i mezzi pubblici, non puoi essere ricoverato negli ospedali pubblici, non puoi accedere legalmente a nessun servizio di base, sei costretto a procurarti lasciapassare illegali. Puoi solo sperare di sopravvivere nei campi di ulivo, l’unico posto rimasto relativamente sicuro, fino al giorno della partenza per mare. Tra i migranti ci sono alcuni medici, che stanno medicando ferite gravissime, procurate da colpi di machete e di altre armi da taglio, che necessiterebbero di cure specialistiche in strutture adeguate. Se sei un nero e ti sposti anche solo in cerca di cibo, corri tutti i giorni il rischio di essere attaccato da bande locali armate di coltelli che confiscano il telefono e i pochi oggetti personali che porti addosso. Alcuni riescono a nascondere il cellulare e a documentare queste violenze: ogni giorno mi arrivano foto che non vorrei mai mostrare. Il dolore di una persona non può rimanere senza risposta, anche se arriva per telefono.
In quegli accampamenti si può contare unicamente sulla distribuzione di medicine da parte delle poche organizzazioni umanitarie presenti e sulla solidarietà della gente del posto. C’è bisogno di medicine essenziali, come antibiotici, garze, disinfettanti: vivere in un accampamento significa che ogni taglio o ferita rischiano di portare il tetano o di degenerare in setticemia. Refugees in Lybia cerca di raccogliere denaro da inviare loro per le cure di più urgente necessità.
Le donne sono una delle categorie più colpite. Si stima ci siano decine di donne gravide che vivono nei campi di ulivi alcune delle quali rimaste incinte dopo gli stupri subiti da parte di bande tunisine. Molte di loro per questo soffrono di malattie sessualmente trasmissibili che necessitano di antibiotici e sopportano gravidanze difficili e parti spesso dolorosi e complessi, senza poter ricorrere, se non in casi rari, alle cure ospedaliere. I bambini che nascono in queste situazioni sviluppano spesso problemi respiratori anche a causa dell’ambiente polveroso.
Chi abita nei campi di ulivi non riceve alcun supporto neanche dalle ong alle quali è vietato operare in questi accampamenti e distribuire medicine alla gente. Le agenzie internazionali dell’Onu in tutto il nord Africa non stanno aiutando i migranti. Quando ero in Libia, l’Unhcr (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), ci stava lasciando morire di fame davanti alla sua sede; l’Oim (l’Organizzazione internazionale delle migrazioni) più o meno consapevolmente fiancheggia chi ha l’unico obiettivo di riportare le persone nei loro paesi di origine. Da quasi sei mesi, Medici senza frontiere è inattiva perché il governo tunisino ha vietato al suo personale di intervenire nei campi di ulivi. Si fa allora affidamento sui volontari a El Amra e a Sfax, nonostante la società civile tunisina che dà supporto ai migranti rischi, per la sua azione solidale, di essere catturata e incarcerata.
Caccia al nero
Al contrario di quello che sostiene la propaganda di governo, la Tunisia ospita un numero tutto sommato esiguo di migranti rispetto alla Libia: se in Libia parliamo di quasi un milione di migranti, in Tunisia, in base alla nostra indagine, ci sono più o meno 80.000 persone, distribuite su tutto il territorio, dal confine meridionale fino all’ultimo lembo di costa mediterranea. È un numero ridotto di persone, che può essere gestito per i bisogni più elementari nel rispetto dei diritti umani, se ci fosse la volontà politica. Invece i governi europei inviano fondi in Tunisia per acquistare barche più veloci, armi, veicoli per catturare le persone nel deserto e torturarle. Oggi è diventata una pratica quotidiana catturare i migranti che cercano di lasciare la Tunisia per venire in Italia, deportarli nel deserto al confine con la Libia o l’Algeria e abbandonarli senza acqua, cibo, riparo o qualsiasi mezzo di prima necessità.
Grazie alla rete di comunicazione che abbiamo costruito in questi tre anni, più di un anno fa, il 19 luglio 2023, sono stato contattato per la prima volta dalla Tunisia: mi è stata mostrata una foto orribile che ritraeva una donna con la figlia di sei anni, identificate in seguito come Fati Dosso e Marie, lasciate morire di stenti nel deserto tunisino. Il marito di Fati e papà di Marie si chiama Pato, ora lui è in Italia e ci ha aiutati a ricostruire la storia della moglie e della figlia.
Kaïs Saïed nel febbraio del 2023 ha tenuto un discorso fortemente razzista, usando parole di fuoco nell’intento di convincere i tunisini che fosse in atto un piano per cambiare la composizione demografica del paese. Quella che l’estrema destra europea chiama “sostituzione etnica”. Questa non è stata solo una dichiarazione pericolosa, ma una vera e propria condanna a morte per molte persone migranti che subiscono il respingimento nel deserto e le violenze di cittadini privati. Non ho dubbi che in Tunisia esista un vero e proprio razzismo istituzionale, dal momento che alcuni servizi sono accessibili solo ai tunisini o per le persone dei paesi arabi. Ovviamente non possiamo dire che tutti i tunisini siano razzisti. Una parte della società civile tunisina è uscita fuori e ha protestato per fermare il razzismo verso i migranti subsahariani. A Sfax, a El Amra, a Medenina, a Zarzis, a Ben Gardane, a Jendouba, a Tunisi, il migrante arabo non sperimenta lo stesso trattamento riservato ai subsahariani: i siriani, gli iracheni, gli egiziani, gli yemeniti, i palestinesi non vivono nei campi di ulivi. Sono solo i sudanesi come me – che rappresentano circa il 30% dei migranti e dei rifugiati in Tunisia –, i ciadiani, i camerunensi, i senegalesi, i nigeriani, i maliani, i gambiani e tanti altri a dover sopportare tutto questo.
Sommovimenti
Nel 2023 ci sono state molte partenze dalla Tunisia e meno dalla Libia perché sono stati creati nuovi meccanismi, nuove rotte dalle persone che sapevano come gestire il traffico di esseri umani. In Tunisia evidentemente era molto più facile, era molto più immediato prendere il mare in quel momento. In Libia c’è un circuito di violenze in cui le persone sperimentano traumi e torture che ha costretto i migranti a tentare la fortuna in Tunisia e in Marocco. Non si tratta di persone stanziali in un luogo, ma di spostamenti continui finché non riescono a trovare una finestra da cui scappare.
Guardiamo la situazione politica in Libia, cioè il regime di bande e famiglie che regge il paese e con il quale l’Italia si ostina a stipulare accordi. Solo pochi mesi fa Abdurahman al-Milad, conosciuto come Bija, un controverso comandante della cosiddetta guardia costiera libica, è stato assassinato durante un agguato, segno che in questa fase esistono delle fratture tra mafia, reti di contrabbando e politica. Quando in Libia ci sono questi tipi di conflitti interni, è facile aspettarsi un cambiamento nel flusso di migranti, forse anche questo è connesso all’aumento delle partenze dalla Tunisia.
La Tunisia è già una nuova Libia se si osserva il meccanismo in atto e temo possa ulteriormente peggiorare: ci sono milizie, c’è un regime corrotto, c’è qualcuno che sta cercando di controllare le dinamiche di potere, questo determinerà l’aumento di molti meccanismi criminali, perché tutti vogliono fare soldi sulla pelle dei migranti.
Inoltre la violazione dei diritti umani, non sta riguardando solo i migranti che partono, ma anche i diritti dei cittadini tunisini che restano. È una ruota che gira: prima hanno iniziato a compiere violenze contro i migranti, ora iniziano a mettere in prigione i tunisini che aiutano i migranti.
Lo scorso maggio, l’avvocato e giornalista televisiva Sonia Dahmani è stata arrestata con l’accusa di aver parlato della situazione dei migranti e del razzismo in Tunisia durante un dibattito sull’immigrazione. L’arresto, avvenuto in diretta televisiva per mano di poliziotti con il volto coperto, ha scatenato scioperi dell’ordine degli avvocati in tutto il paese. È tuttora detenuta e ha avuto una prima condanna a un anno di prigione, pena ridotta in appello a otto mesi e poi nuovamente aumentata, l’ottobre scorso, a due anni di prigione.
Non solo stranieri
La migrazione attraverso e dalla Tunisia non riguarda solo le persone che provengono dall’Africa occidentale o orientale o da qualche altro paese: anche il popolo tunisino è costretto a migrare. Sono stato spesso a Lampedusa, ho visto tunisini appena arrivati con la barca e ho scambiato qualche parola con loro. I giovani tunisini che arrivano in Italia hanno molti sogni, vorrebbero stare nel loro paese, ma non hanno accesso al lavoro e la gente comune si sente oppressa. Non so se il viaggio in barca sia lo stesso per tunisini e subsahariani, so però che il Mediterraneo che ho attraversato per venire qui, è lo stesso: si è costantemente vicini alla morte.
Per combattere le violazioni dei diritti umani la soluzione sarebbe semplice, ma questa soluzione non può essere raggiunta se la gente europea e la gente africana non lasciano che anche i popoli africani abbiano il diritto alla libertà di movimento. Noi sud-sudanesi proviamo a venire in Europa: vorremmo venire legalmente, ma il nostro passaporto non è riconosciuto. Quando viaggio per il mondo per lavoro ho continui problemi coi miei documenti, mentre le persone italiane che sono con me in molti casi non hanno bisogno di visti, possono viaggiare tranquillamente. Questa è un’altra forma di razzismo istituzionale: il mio documento è uguale agli altri, ci sono il mio nome, il mio cognome, la mia foto, il mio luogo di nascita, ma io sono sud-sudanese. Quando arriveremo a cambiare queste politiche, avremo raggiunto un risultato fondamentale per l’intera umanità.
(Dichiarazioni raccolte da Giorgia Ansaloni.)

La fotografia che apre questo articolo è di Fakhri El Ghezal. L’articolo è parte di un numero speciale di Touki Bouki pubblicato nel dicembre del 2024. 32 pagine di storie di vita, analisi, fotografie, illustrazioni e cartine geografiche interamente dedicate alla Tunisia. Chi volesse riceverne una copia cartacea (fino a esaurimento copie) può farne richiesta, con un piccola donazione, scrivendo a redazione.toukibouki@gmail.com.